Frugando in biblioteca... Scripta manent...
di Alberto Zilli
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Come molti avranno sperimentato, gran parte del lavoro del lepidotterologo non si rivolge direttamente allo studio delle farfalle ma è assorbito dalle ricerche bibliografiche. Infatti, come in ogni ramo della ricerca scientifica, è necessario conoscere approfonditamente tutto quanto sia stato scritto su un determinato argomento prima di poter esser certi di aver fatto una qualche, seppur piccola, scoperta.
Ed ecco quindi tutti trasformati in topi di biblioteca o, oramai da diversi anni, in smanettoni al computer: altro che atletici acchiappatori di ‘farfallotteri’ al retino. E adesso siamo anche fortunati! Fino a qualche decade fa, era un problema anche soltanto venire a conoscenza dell’uscita di un articolo su un tema di nostro interesse.
Bisognava passare intere giornate a sfogliare indici bibliografici come lo Zoological Record, gli Entomology Abstracts o il Referativny Zhurnal per appuntarsi i riferimenti delle pubblicazioni. Poi cominciava la ricerca, appunto presso biblioteche ben fornite per i pochi fortunati che ne avessero avute di accessibili nelle proprie vicinanze.
Diffusissima era anche la pratica, oramai dimenticata in un’era in cui ci si scambiano pdf a mezzo e-mail, di spedire dei cartoncini di formato cartolina in cui, con una frase prestampata standard da completare a penna, si richiedevano direttamente agli autori gli estratti a stampa delle loro pubblicazioni.
E andando ancor di più indietro nel tempo, prima cioè dell’invenzione delle fotocopiatrici, i lepidotterologi usavano fotografare le pubblicazioni di loro interesse o dovevano copiarle con la macchina da scrivere, se non addirittura a mano come pazienti frati amanuensi.
Naturalmente l’unica alternativa a queste tediose pratiche sarebbe stata una sola: acquistare direttamente tomi e monografie, spesso dal costo proibitivo date le scarse tirature delle opere specialistiche, ma cosa fare con gli articoli usciti sui periodici?
Vuoi per fotocopiare articoli o per scorrere pubblicazioni digitali online, il tempo dedicato alla ricerca di informazioni è sempre considerevole. Una fatica immane… ma ne vale la pena? Dipende… già, dipende da cosa è stato scritto!
Anche il sottoscritto è passato attraverso una fase di scrupolosa ricerca della più recondita notiziola di letteratura, nell’illusione che i dati pubblicati fossero di norma attendibili, pur nella consapevolezza che nessuno è infallibile (compreso chi scrive) e l’errore involontario è sempre in agguato. Sicuramente non si può fare a meno di raccogliere le informazioni preesistenti, altrimenti descriveremmo come nuova ogni specie che dovessimo incontrare, ma quando mi capitò di controllare le determinazioni di alcuni importanti lepidotterologi italiani non più tra noi (che comunque hanno fornito in ogni caso fondamentali contributi alla nostra disciplina), mi resi conto che almeno nella faunistica sarebbe stato più opportuno ripartire da zero sulla base del materiale esaminato e non delle citazioni bibliografiche.
Prendiamo ad esempio il rendiconto sui Ropaloceri osservati in Italia centrale da Saburo Nishimura uscito nel 1985 sulla newsletter della Società lepidotterologica giapponese, cioè “Guide to butterfly viewing spots around the world 1. Around Rome (Italy). Yadoriga, 123: 16-20”, accessibile qui.
Si tratta a tutti gli effetti di un lavoro formalmente pubblicato, con dati faunistici riguardanti il Lazio e l’Abruzzo. Prassi vorrebbe che le segnalazioni faunistiche fossero considerate valide, salvo formale smentita. Ma non c’è riscontro scientifico che si possa svolgere senza degli esemplari di riferimento che funzionino come materiali di appoggio delle affermazioni scientifiche di volta in volta effettuate. Il problema è sempre più presente in un’epoca in cui molti credono che per identificare un licenide blu basti scattare una foto del lato blu… ma questo è un discorso che ci porterebbe lontano.
Tornando invece al nostro esempio e scorrendo le segnalazioni nel lavoro su Yadoriga, scopriamo che nella Pineta di Castelfusano presso Ostia, sul litorale romano, volerebbero Pontia chloridice, Colias hyale, Leptidea duponcheli, Neptis sappho, Vanessa indica vulcania (oggi Vanessa vulcania), Arethusana arethusa, Hyponephele maroccana, Pararge xiphioides e Callophrys avis, oltre ad altre specie note per l’Italia centrale ma assai ‘improbabili’ per la zona, eminentemente mediterraneo-costiera, quali Pieris ergane, Polyommatus escheri, Coenonympha arcania e Limenitis camilla. Per quanto riguarda il Gran Sasso, l’autore più prudentemente si è quasi sempre tenuto sulla citazione esclusivamente dei generi delle specie osservate, con qualche peccato veniale quale Anthocharis belia invece di A. euphenoides, ma avrebbe effettuato un sorprendente avvistamento di Vanessa virginiensis. Nella Sabina, presso Rocca Sinibalda, compare ancora Pararge xiphioides, mentre ‘dulcis in fundo’, nell’area tra il Lago di Bracciano e i Monti della Tolfa sarebbero presenti Apatura iris e Nymphalis xanthomelas, e curiosamente Vanessa atalanta. Chissà perché non più la macaronesica Vanessa vulcania…
A fronte di queste segnalazioni, l’autore ha anche indicato diverse specie certamente presenti nelle diverse zone, ma dati gli evidenti abbagli sulle altre come possiamo essere certi che ad esempio le osservazioni di Satyrium ilicis non vadano invece attribuite a S. acaciae o le Melitaea trivia osservate non fossero invece M. didyma? Il problema delle segnalazioni bislacche si pone infatti più per le specie sicuramente presenti in una zona che non per quelle chiaramente impossibili.
Alberto Zilli
Vanessa vulcania
Pararge xiphioides
Neptis sappho (foto utente iNaturalist mihailivanov, license CC BY-NC)