Zerynthia cassandra
di Paolo Mazzei
Zerynthia cassandra, descritta da Carl Geyer nel 1828 come Papilio cassandra e considerata a lungo come sottospecie di Zerynthia polyxena ([Denis & Schiffermüller], 1775), è stata elevata al rango di specie da Leonardo Dapporto nel 2010 sulla base di differenze significative nella morfologia degli apparati genitali, oltre ad evidenze genetiche già precedentemente riscontrate.
Il fiume Po separa di fatto le due specie: Z. cassandra è infatti un endemismo italiano, distribuito dalle regioni settentrionali a sud del Po, attraverso tutta le Penisola, fino in Sicilia. Sulle Alpi Liguri e a nord del Po è invece vicariata da Z. polyxena.
La specie è protetta, a livello europeo, dalla Direttiva Habitat 92/43/CEE, Allegato IV (specie animali e vegetali di interesse comunitario che richiedono una protezione rigorosa). In realtà la Direttiva cita Z. polyxena, ma, essendo stata approvata nel 1992 quando anche le popolazioni dell’Italia peninsulare venivano attribuite a Z. polyxena, Z. cassandra rientra a pieno titolo nella sua protezione.
L’unico carattere che consente di determinare la specie a colpo d’occhio è la colorazione delle larve, soprattutto alle due ultime età: le protuberanze sub-coniche (chiamate scoli, singolare scolus) presenti sul dorso e sui fianchi delle larve, di colore variabile dal giallo all’arancione carico al rosso, presentano sempre, in Zerynthia polyxena (seconda foto) l’apice nero, carattere che non è mai stato osservato in Zerynthia cassandra (prima foto).
Gli adulti di entrambe le specie sono invece molto variabili, e le variazioni nell’ambito della singola specie sono quasi sempre maggiori di quelle tra le due, rendendone di fatto impossibile l’identificazione in base al pattern alare. Era stato proposto come carattere distintivo di Z. cassandra l’assenza della macchietta rossa vicino all’apice delle ali anteriori, che invece può essere presente, come si vede nella terza delle foto successive. Anche il colore di fondo può variare, nelle due specie, dal biancastro al giallo.
Quelle che seguono sono tutte Z. cassandra.
Vola abitualmente dal livello del mare a 1000 m ed è più frequente a basse quote, anche se sul Monte Terminillo (Rieti) c’è una popolazione a Pian di Rosce sopra i 1200 m, e a Ovindoli (L’Aquila), alle pendici del Monte Sirente, vola almeno fino a 1450 m. Nelle due foto successive un individuo del Monte Sirente, con un colore di fondo di un bel giallo molto intenso.
Ha una sola generazione all’anno, con sfarfallamenti che possono andare dalla seconda metà di marzo fino a maggio, a seconda dell’andamento climatico dell’anno e della quota. Il picco delle schiuse si verifica quasi sempre nella prima metà di aprile. Vive in colonie isolate, al margine dei boschi e nelle radure, ma anche in ambienti umidi, canneti, bordi di prati coltivati, vigneti, e la sua presenza è strettamente legata a quella delle sue piante alimentari, appartenenti al genere Aristolochia L.; di solito dove le piante alimentari sono abbondanti è frequente la presenza della farfalla.
Nell’Italia centrale le piante alimentari larvali sono soprattutto Aristolochia rotunda L. e Aristolochia lutea Desf.
Le femmine sfarfallano di norma qualche giorno dopo i maschi, che sono quindi pronti ad accoglierle: in questa specie non c’è parata nuziale o altri rituali di corteggiamento, ma un vero e proprio “assalto” da parte del maschio, che si getta sulla femmina, la blocca con le zampe e spesso la trascina a terra. Se la femmina accetta l’approccio, segue l’accoppiamento.
Le femmine fecondate depongono le uova, ad una ad una, sulle piante nutrici. Le due foto mostrano due femmine, la prima il 16 aprile 2013 tra Maccarese e Castel di Guido (Roma), in deposizione su Aristolochia rotunda, e la seconda il 24 aprile 2021, nei castagneti a ceduo tra Rocca di Papa e il Tuscolo (Roma), su Aristolochia lutea.
La deposizione avviene di norma sulle foglie, ma spesso anche sulle altre parti delle piante, come fusti e fiori.
La larva di prima età, appena uscita dall’uovo, è grigia con la capsula cefalica nera e lucida; gli scoli dorsali, che portano ciascuno una setola più lunga e altre più corte, sono appena accennati e poco prominenti.
Non si nutre all’esterno ma cerca riparo il più delle volte all’interno di un fiore, entrando dall’imboccatura superiore. Nella seconda foto si vede la larvetta che si nutre della parte interna del lembo che sovrasta il perianzio tubolare, prima di entrare nel fiore, percorrere tutto il “tubo” discendente fino ad arrivare nella parte che si allarga, l’utricolo.
Il perianzio tubolare, prima di sboccare nell’utricolo, presenta delle specie di setole rivolte verso il basso, i tricomi, che consentono l’ingresso ma impediscono l’uscita dall’utricolo. Ma la larvetta non ha nessuna intenzione di uscire subito: si nutre sulle pareti dell’utricolo, di norma senza forarlo, e passa lì dentro tutta la prima età fino a fare la muta che la porta alla seconda età. Le tre foto che seguono, in cui ho tagliato il fiore separando la parte tubolare dall’utricolo, mostrano la larva all’interno, con i suoi escrementini ad indicare l’attività trofica, e sia la seconda che la terza mostrano una larva in muta.
Alla seconda età l’aspetto della larva non cambia molto: oltre all’incremento dimensionale, solo gli scoli dorsali e laterali diventano più sporgenti e di un colore giallastro un po’ più chiaro. Nella prima foto si vede una larva proveniente dall’interno di un fiore, con diverso polline addosso.
A volte le larve di seconda età possono nascondersi tra le foglie apicali ancora chiuse, nutrendosi sia delle foglie che del lembo terminale del fiore in formazione.
Alla terza età si accende un po’ di colore: gli scoli assumono una tonalità arancione, mentre il colore di fondo diventa più scuro, creando un bel contrasto. Le larve si cibano e rimangono esposte sulle foglie senza più nascondersi.
Un’altra muta e siamo all’ultima età, quella che precede la trasformazione in pupa. Nella prima foto la larva ha appena fatto la muta e la colorazione deve ancora assumere le tonalità definitive. C’è comunque una certa variabilità, sia del colore di fondo che degli scoli, che, come già detto, vanno dal giallo all’arancione al rosso, ma l’apice non è mai scuro.
Inoltre, rispetto all’età precedente, manca alla sommità di ognuno degli scoli la singola setola molto lunga: tutte le setole hanno ora lunghezza comparabile.
Quando arriva il momento di impuparsi, la larva smette di alimentarsi e cerca un supporto dove fissarsi per diventare pupa. Spesso, prima di assicurarsi al supporto, la larva cerca di consolidare gli immediati dintorni del sito prescelto, assicurando le foglie al fusto e tra loro, come si vede nelle due foto che seguono, per contribuire alla stabilità futura del supporto e impedire eventuali danni nei tanti mesi che precederanno lo sfarfallamento.
La larva realizza sempre un cuscinetto di seta abbastanza spesso, quello bianco che si vede in basso in entrambe le foto, al quale si aggrappa con l’ultimo paio di pseudozampe, tenendo la parte anteriore del corpo rivolta verso l’alto. Poi realizza il cinto dorsale, ancorandolo ai due lati e passandolo sul dorso, filandolo a più riprese per ispessirlo fino alla robustezza desiderata.
Ho ripreso la trasformazione da larva a pupa con la funzione “riprese intervallate” disponibile nella mia fotocamera.
Come si può vedere nella prossima foto, la fotocamera era montata sul cavalletto e ho usato, per illuminare il soggetto, due lampade da studio da 5500 K all’interno di due softbox montati su treppiedi; tutte le alimentazioni venivano da un gruppo di continuità (in basso a dx nella foto) per evitare interruzioni, inclusa la fotocamera stessa, alimentata da una falsa batteria collegata via cavo ad un alimentatore esterno.
La fotocamera ha scattato una foto ogni 20 secondi per 1 giorno, 10 ore e 21 minuti, per un totale di 6183 foto (in realtà molte di più, pensavo che si impupasse più in fretta, ma quelle precedenti, del tutto inutili e statiche, le ho cancellate…). Di queste, ne ho prese 37 (!) realizzando con esse la video-sequenza che vedi qui sotto. Guardala, seguendo in particolare il cinto dorsale bianco di seta, ne riparliamo subito dopo…
Soffermiamoci su qualche dettaglio interessante, aiutandoci anche con foto di altre pupe (quella del video mi ha un po’ deluso, era molto meno “acrobatica” di diverse altre):
circa tre ore prima della fuoriuscita della pupa dalla pelle del bruco, gli scoli dorsali rossastri hanno cominciato a ridursi di dimensioni, fino a scomparire quasi completamente (seconda delle tre foto successive) prima che la pelle cominciasse a fessurarsi e a scivolare indietro. In questo modo, quando la pupa si è liberata della exuvia larvale, il cinto dorsale non si è impigliato negli scoli ed è rimasto al suo posto, cingendo il dorso della pupa.
Mentre la pupa si induriva e acquistava la sua forma definitiva, per oltre otto ore, i suoi movimenti sono stati impercettibili e il cinto di seta è rimasto sul dorso della pupa, come si vede nella prima delle due foto successive.
La seconda foto, in particolare, mostra un dettaglio molto interessante (se ci clicchi sopra e la ingrandisci lo vedrai ancora meglio): all’estremità anteriore della pupa è presente una serie di gancetti appuntiti, che, come vedremo tra poco, sono funzionalmente correlati con il cinto di seta.
Da notare un particolare nel dettaglio: un buon numero di gancetti ha la punta rivolta verso il lato ventrale della pupa. Se hai visto il video, avrai notato che il cinto di seta, a causa dei movimenti della pupa, scivola in avanti fino a fermarsi trattenuto dai gancetti: per trattenerlo, però, basterebbero i gancetti rivolti dorsalmente, su cui si aggancerebbe il cinto. E quelli ventrali a cosa servono?
Aiutiamoci con altre foto per capire cosa succede: i primi movimenti della pupa, una volta indurita e acquisita la forma definitiva, fanno scivolare il cinto fino alla zona con i gancetti. Da notare nella prima foto che, data la lunghezza del cinto, la parte anteriore della pupa è ancora molto lontana dal supporto.
Attenzione però, la seconda foto mostra un particolare degno di nota: il cinto non ha semplicemente abbracciato, da sopra, la zona con i gancetti, ma si vede chiaramente che ha già fatto quasi due giri arrotolandosi e ancorandosi anche ai gancetti rivolti ventralmente. Com’è possibile? Come fa la pupa, con i suoi movimenti così limitati, ad avvolgere il cinto in questo modo?
Semplice: i suoi movimenti non sono poi così limitati, dato che è capace di ruotare sul suo asse longitudinale di 180 gradi, come mostra la prima delle due foto successive, in cui il lato ventrale è rivolto a sinistra, anziché a destra verso il supporto.
Quello che succede, e che è difficile da documentare perché si tratta di movimenti molto rapidi che avvengono dopo intervalli di immobilità che durano diverse ore (per riprenderli ci vorrebbe un sensore di movimento più che scatti a intervalli fissi), è che la pupa ruota alternativamente a destra e a sinistra sul suo asse, più volte, in modo da far impigliare il filo nei gancetti sempre di più, come si vede dalla seconda foto.
Attorcigliare sempre più spire intorno ai gancetti ha due conseguenze decisamente utili per la pupa: prima di tutto aumentare il numero di giri intorno ai gancetti rende la legatura molto più difficile da sciogliere; poi, via via che si attorciglia, il cinto si accorcia sempre più, avvicinando la parte anteriore della pupa al supporto (foto successive), rendendola meno visibile e più solidale con il supporto stesso, e non è poco, perché, prima dello sfarfallamento, dovrà passare quasi un anno, sopportando vento, pioggia, il caldo estivo e il gelo dell’inverno.
Molte larve scelgono, come supporto per impuparsi, qualcosa di un po’ più robusto e stabile dei fusticini verdi delle piante alimentari, che già durante l’estate comunque si seccheranno e cadranno al suolo.
Ma il metodo non cambia anche se la pupa si fissa ad un tronco o ad una roccia: sempre un cuscinetto posteriore, e il cinto dorsale che scivola fino ad arrestarsi sui gancetti frontali e viene poi teso con i movimenti rotatori della pupa lungo il suo asse longitudinale.
Per concludere, due adulti con pattern alare assai diverso: il secondo nettamente più scuro, ad ulteriore esempio della variabilità di questa specie.