Melanargia arge
di Paolo Mazzei
La protagonista di questa nostra scheda è uno degli endemismi più significativi tra le farfalle diurne italiane; si tratta di Melanargia arge, descritta da Sulzer nel 1776 nel genere Papilio, e protetta a livello europeo:
- dalla Direttiva Habitat 92/43/CEE, Allegato II e IV;
- dalla “Convenzione sulla Conservazione della Vita Selvatica e degli Habitat naturali in Europa” (Convenzione di Berna), Allegato 2.
Appartiene alla famiglia Nymphalidae, sottofamiglia Satyrinae, tribù Melanargiini che, in Europa, contiene il solo genere Melanargia Meigen, 1828.
Vola in un’unica generazione dalla metà di maggio (con rare schiuse precoci, soprattutto di maschi e a bassa quota, già da fine aprile) alla metà di giugno a seconda del microclima.
È distribuita nell’Italia centromeridionale, dalle province di Grosseto e Siena in Toscana, da tutta l’Umbria e dalla provincia di Teramo in Abruzzo, verso sud. È assente, con tutta probabilità e nonostante citazioni storiche, in Sicilia. Vive in piccole popolazioni isolate, localizzate e quasi mai molto abbondanti. Si incontra in zone collinari costiere, su prati erbosi aridi e rocciosi con presenza di grosse poacee cespitose, tra cui soprattutto Ampelodesmos mauritanicus – foto qui accanto – ma anche Stipa pennata, Brachypodium rupestre e altre, difficilmente oltre i 1000 metri, localmente fino ad un massimo di quasi 1600.
Tutte le foto che vi propongo sono state fatte, in anni diversi, a Punta Cetarola, Sperlonga (Latina), tranne qualcuna fatta invece nel SIC Monte Calvo e Monte Calvilli durante i monitoraggi per la stesura del Piano di Gestione del SIC, relativamente proprio a questa specie; tra le due località, in linea d’aria, ci sono poco più di 20 km e la configurazione del terreno è simile, entrambi ampelodesmeti con incendi frequenti e pascolo moderato, ed è per questo che ometterò, per ogni immagine, data e località, che posso fornire a chi me le richieda.
I maschi sono i primi ad apparire ed è facile osservarli mentre si nutrono sui capolini di scabiosa e sui cardi; il pattern alare è simile a quello delle femmine ma il colore di fondo del rovescio delle ali posteriori tende più al bianco e le venature più al nero, dando quindi un’idea di maggior contrasto.
Le femmine invece, oltre ad essere mediamente più grandi, hanno il colore di fondo del rovescio delle ali posteriori tendente al nocciola giallino, con le venature marroni, e quindi la tonalità alare è più calda.
Gli accoppiamenti non sono così facilmente osservabili come avviene per altre specie: forse la coppia è meno mobile, forse la durata della copula inferiore, forse tendono a nascondersi più efficacemente per evitare di essere predati.
In alto a destra la femmina, decisamente più fresca, dietro il maschio, più piccolo e logoro.
Le deposizioni sono invece molto più facili da osservare rispetto agli accoppiamenti: la femmina si infila di solito alla base dei grossi ciuffi di ampelodesma e depone un singolo uovo, abitualmente sulla parte secca – nella foto la femmina che depone è evidenziata da una freccia verde bordata di bianco.
La foto precedente della larva è stata scattata il 6 giugno 2008, la larvetta è stata raccolta con il suo stelo, mantenuta all’aperto per tutta l’estate in un contenitore di tulle nella stessa posizione riparata dal sole diretto e, nonostante le siano state fornite foglie fresche di diverse graminacee, non si è minimamente spostata né tanto meno nutrita.
Il 15 novembre 2008 la larva aveva fatto la prima muta ed era quindi di seconda età: peli dorso-laterali più corti, capsula cefalica più grande e corpo più lungo. In natura l’accrescimento procede molto lentamente per tutto l’inverno, e i bruchi raggiungono la maturità, cioè l’ultima età larvale, verso la fine di marzo.
Questo è l’aspetto più frequente di una larva matura a inizio aprile. Hanno attività esclusivamente notturna e salgono sulle piante nutrici molto tardi, almeno due o tre ore dopo il tramonto, tanto che nel nostro gruppetto di ricerche notturne avevamo coniato la frase scaramantica per farle comparire: “è tardissimo, chiudiamo tutto e andiamo via”. Non si nutrono di preferenza su Ampelodesmos mauritanicus ma preferiscono Poaceae più piccole e meno coriacee, spesso utilizzando le grosse cespitose unicamente come riparo.
Si trovano anche larve mature di colore bruno, molto meno frequentemente; la capsula cefalica tende comunque al verdastro anche nella forma bruna.
Giunto il momento di impuparsi, la larva matura si sceglie un nascondiglio al di sotto dei detriti al livello del suolo, per proteggersi durante la trasformazione.